giovedì 23 ottobre 2008

La storia dei Minipolifonici VIII PARTE


Trento: la scuola di musica (II parte)
Nel 1984 mi sposai con Eleonora, (la Leo): un matrimonio indimenticabile anche per la dimostrazione di affetto unanime che i Minipolifonici profusero nell’organizzare questo nostro evento. Ricordo tanti, tanti bambini, ragazzi, giovani, che riempirono la chiesa in quello storico pomeriggio del 23 aprile 1984, di meravigliose musiche e canti, diretti alternativamente da alcuni componenti il coro misto. Autisti, servizio fotografico, filmato... tutto nelle loro mani... Accanto al regalo (un lettore CD che per allora era una novità) una bellissima poesia scritta da Bruno Banal...
Il mio trasferimento a Bolzano per lavoro e la mia nuova residenza creò, ai numerosi frequentatori di “casa Conci”, una situazione di disagio perché improvvisamente venne a mancare quell’ormai storico, quotidiano punto di riferimento. La mia presenza nella scuola e alle prove era comunque sempre garantita ma, nonostante i miei sforzi, non riuscii a colmare il vuoto del “tempo libero”. E’ stato un periodo sofferto per alcuni e anche per me, aggravato da incomprensioni reciproche, frizioni e contrasti dolorosi, che tutti, io per primo, abbiamo maldestramente gestito.
A quel tempo il Presidente era Stefano Kirchner: sempre pronto a realizzare qualunque idea gli proponessi, un bulldozer in grado di frantumare qualunque ostacolo che si fosse parato davanti. E’ assieme a lui che iniziai l’avventura della Scuola di musica e la sua presenza fu preziosa, insostituibile, fu un continuo succedersi di bellissime iniziative, sue, mie, a volte azzardate ma capaci di coinvolgere tutti. Un sincero amico cui debbo moltissimo e una parte dei Minipolifonici porta anche la sua firma.
I cori continuavano nel loro splendido viaggio, ancora concerti: Carmina Burana, Messa di Dvoràk, Lieder di Brahms, Bohéme, Il Barbiere, Lucia di Lammermoor, Requiem di Fauré, Vespri di M. Haydn, Messe di Mozart, Canti della tradizione popolare trentina, come già ebbi modo di scrivere: la Messa in si minore di Bach, e poi ancora concorsi, soggiorni estivi, il tutto alternato da traslochi in varie sedi e succedersi di nuovi Presidenti.
In seguito alle affermazioni e i riconoscimenti del coro dei Minipolifonici venni chiamato in Italia, in Francia, in Belgio, in Ungheria a tenere corsi per direttori di coro e a far parte di giurie nazionali e internazionali. Mi fu proposta pure la direzione del coro della Cappella Marciana di Venezia: coro della basilica di S. Marco, cattedra ambitissima, sul cui “scranno” sedettero musicisti come Monteverdi, Adriano Willaert e altri dello stesso spessore. Siro Cisillino, famoso musicologo veneziano, insistette moltissimo affinché accettassi l’incarico; rifiutai, perché esso avrebbe comportato il mio totale trasferimento a Venezia e il conseguente inevitabile abbandono dei miei Minipolifonici.
La Scuola di musica, intanto, proseguiva il suo percorso; gli alunni progredivano coadiuvati dall'impegno ed entusiasmo dei giovani insegnanti; particolare attenzione rivolsi  alla loro formazione, cercando di trasmettergli la gioia e la poesia dell’insegnamento, suggerendo di dare sempre priorità all’esclusivo interesse dell’allievo - soggetto in continua evoluzione - di non chiedere da lui ciò che avrebbe dovuto fare ma di essere attenti a ciò che lo stesso fosse stato in grado di fare, esaltando costantemente i suoi eventuali progressi. Pure i metodi didattici: “ Musica per me” e “Canto le note” che assieme a mia moglie Eleonora elaborammo, frutto di tantissimi anni di insegnamento, furono dedicati e pensati - quasi visualizzandoli uno ad uno - agli allievi della Scuola. Essi sono universalmente riconosciuti come il metodo dei Minipolifonici.  I primi tempi il concerto di fine anno durava tantissimo ed era caratterizzato da una passerella di giovani allievi che si esibivano uno dopo l'altro proponendo il loro pezzettino. Gradualmente riuscimmo, e fummo i primi, a tramutare questo appuntamento in una festa di musica proposta dagli allievi (anche i più piccoli) che suonavano in duo, trio, e in variegati gruppi. Un momento di gioia per me, ma sono sicuro per tutti, era  quando sul palcoscenico del teatro salivano i bambini piccoli (quattro- cinque anni), i bambini dei vari cori della Disciplina corale e sentirli cantare era veramente entusiasmante.
Nacquero altre nuove innovazioni didattiche; merita che le citi anche perché uniche e pensate per i bambini della mia Scuola.
Alcune di queste, più tardi, vennero prese dalla Provincia di Trento e fatte proprie nell’Ordinamento didattico delle Scuole musicali trentine iscritte all’albo (se la stessa mi avesse usato la cortesia di interpellarmi, anziché pagare una persona da fuori per suggerire “farine di altri sacchi”, mi sarei reso disponibile ad “offrirle personalmente” corredandole, inoltre, di quelle indispensabili informazioni per una più corretta, consapevole e proficua applicazione). Alla “Disciplina corale” e al “Giro degli strumenti”, di cui ho già scritto, aggiunsi la “Preparazione all’orchestra”, “In orchestra per diletto”, diedi volentieri vita al “Gruppo strumentale giovanile” su dolce e insistente richiesta del vicepresidente Fernando Guarino, successivamente istituii il “Gruppo giovanile di fiati” affidandolo a Michele Cont (ottimo didatta), inoltre: “Dai bambini la musica per i bambini”, “I concerti per gli allievi”
Nel frattempo altre scuole musicali italiane vollero prendere a modello la mia didattica: l’Istituto musicale di Crema che diressi per quattro anni, I Piccoli Musici di Casazza, Zogno in val Seriana, Milano, Bergamo, Salorno (scuola voluta dal direttore didattico dott. Ivan Eccli, avviata e diretta per diversi anni da Eleonora Dalbosco). Ideai, allora, “Insieme per suonare”: tre incontri itineranti, nei quali si trovarono a suonare, cantare e proporre le loro espressioni musicali tantissimi bambini, ragazzi delle diverse scuole accomunati dall’identica gioia di “fare musica” e dalla stessa filosofia didattica.
Molte altre scuole in Italia si aggiunsero e continuano tuttora a seguire il metodo nella sua completezza, perché l’hanno compreso, ci credono e sono convinti della sua validità: in Trentino: Cles, Tesero, Arco, e poi in Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Umbria, Marche, Calabria, Sicilia...
I miei impegni fuori sede comportarono un inevitabile ridimensionamento della mia presenza nella Scuola di Trento. Ero comunque abbastanza tranquillo perché la ritenevo una Scuola ormai avviata e in grado di camminare anche senza la mia costante presenza. Individuai in Stefano Chesini il mio “supplente”: giovane e ottimo insegnante di flauto ma soprattutto “didatta”. La differenza nei termini, per me è sostanziale: l’insegnante mette l’allievo al sevizio della conoscenza, il didatta mette la conoscenza al servizio dell’allievo. Non sono i diagrammi colorati di rosso, verde, giallo, per distinguere gli orari delle lezioni che consacrano il direttore di una scuola, (per quello è sufficiente un segretario), e neppure la capacità di stilare domande, curare la contabilità e quant’altro, (per questo basta un segretario amministrativo), ma la capacità di comprendere il linguaggio della didattica, la capacità di dialogare con gli insegnanti, con gli allievi, con i genitori e l’attenzione a salvaguardare soprattutto la filosofia della scuola stessa, questo è l’insostituibile compito del Direttore. Stefano Chesini svolse il suo ruolo con entusiasmo e già sognavo che un giorno avrebbe potuto assumere l’incarico definitivamente, mentre io mi sarei messo tranquillo “alla finestra”. A quel tempo, però, non ero ancora in grado di assicurargli un posto fisso per cui lo Stato se lo prese dandogli il ruolo nella scuola media. Lo ricorderò sempre non solo con affetto ma anche con stima e riconoscenza per tutti quegli allievi ai quali trasmise la gioia di studiare, di suonare, di “fare musica” con lui. Dovetti rinunciare a uno dei miei migliori insegnanti. Diresse pure il “Gruppo strumentale giovanile” della Scuola e anche lì si fece apprezzare e amare. Grazie, Stefano!
Questo gruppo, come il Gruppo giovanile di fiati (ragazzini fra gli  undici e i sedici anni), furono protagonisti di numerosissime e apprezzate esecuzioni musicali nella loro città e fuori.
L'ottima riuscita di queste due realtà è da attribuire anche al costante  impegno e ammirevole dedizione dei giovani musicisti.  Anche loro hanno contribuito non poco a scrivere un meraviglioso pezzo della storia dei Mini. Alcuni di loro ho avuto l'emozione di dirigerli. 
MA NON TUTTE LE STORIE HANNO UN LIETO FINE...
Nel 1999 il Consiglio di amministrazione nominò un altro supplente ed io rimasi alla guida della Scuola soprattutto per quanto riguardava il rapporto con gli insegnanti e la cura della didattica.
La distanza fisica non mi ha mai impedito di continuare a lavorare e pensare alla Scuola, è proprio in quest’ultimo periodo che promossi ancora nuove iniziative. Oltre a “Insieme per suonare”, fra il 2000 e il 2002 ideai “Lezioni concerto”, “ Al Music bar”, “Perché ci piace cantare”, “Storia di un ritardo annunciato”, “Musica in concorso”, redassi un articolato Ordinamento didattico, prospettando due specifici indirizzi: quello amatoriale, e quello professionale; avviai il “Coro di voci bianche della scuola” e volli che due insegnanti presenziassero alle mie lezioni nella speranza che imparassero per poi proseguire da soli...

Quando, però, in un’ Associazione, nata per esaltare nelle coscienze, nei cuori dei bambini e dei ragazzi il valore della musica, si inseriscono politica e politicanti ecco che l’essere, l’esistere si trasforma in apparire e tutto cambia: l’allievo non è più il “soggetto” destinatario di attenzione, ma diventa “oggetto”, numero da aggiungere freneticamente al conto per dare “spettacolo”, ottenere facili “consensi”. La spasmodica ricerca di ingrandirsi, di espandersi in ogni anfratto del territorio fece precipitare l’Istituzione in una pericolosa, drammatica equazione: più allievi, più insegnanti, più sedi, più esibizioni = più esposizione = più contributi i quali richiedono ancora più allievi, che richiedono più soldi, più..., più..., più..., un vortice incontrollabile. Da una “grande scuola” stava trasformandosi in una “scuola grande”, a me il numero di quasi cinquecento allievi cui già era arrivata appariva esageratamente e presuntuosamente troppo. Assistevo con preoccupazione e impotenza alla perdita della genuinità, alla perdita del fine didattico cosicché l’arte del proporre un percorso di crescita ad esclusivo vantaggio dell’allievo regrediva desolatamente. Così stava avviandosi la mia Scuola e contro questo modo di concepirla, io, il fondatore, il direttore mi trovai solo, l’unico a lottare, caparbiamente, con forza a volte estrema, accorata. La botta finale fu quando proposi una persona di mia fiducia nella successione alla direzione della scuola: era mia convinzione che tale persona dovesse avere determinati requisiti, non certo manageriali, altre erano le garanzie a cui davo priorità.
Annunciai al Consiglio la mia intenzione di lasciare la direzione e indicai Chiara Biondani quale mio successore (diplomata in canto, Direttrice e Presidente della Scuola musicale C. Eccher di Cles, una fra le prime voci bianche del primissimo coro, e già insegnante nella mia Scuola). Risultato? “Nicola Conci è un pericolo per i Minipolifonici”: questo era quello che i vertici dell’associazione seppero instillare con maestria. 
Ricordo l’ultimo concerto di fine anno scolastico, i recenti accadimenti mi fecero sentire straniero in quella realtà che fu per vent’anni un pezzo importante della mia vita. Dolore, senso di vuoto, rabbia contro tanti, contro tutti... no, gli allievi no, quella sera mi sembravano la cosa più pulita che ci fosse in teatro.
Al termine del concerto, un’ allieva mi chiese: “Conci, cantiamo -Dopo la pioggia-?” Non ce la feci proprio a sedermi al pianoforte e cantare tutti assieme...
Nel settembre del 2002 diedi le dimissioni da quella associazione.
Sono passati sei anni e continuo a pensare (ed è buffo): la scuola che porta il nome: I Minipolifoni non segue la didattica dei Minipolifonici (è come se la scuola Steineriana non seguisse il metodo del suo fondatore) mentre sempre di più in Italia scuole che non portano questo nome sono MINIPOLIFONICI. 
Con tristezza concludo: dal 2002 l’associazione I Minipolfionici di Trento non si rispecchia più nella didattica e nella filosofia dei Minipolifonici, per cui di qualunque attività realizzata non mi attribuisco né meriti né colpe.

Il prossimo capitolo sarà senz'alto di altro respiro...

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