lunedì 13 ottobre 2008

La storia dei Minipolifonici VII PARTE


(Leggi la I, la II, la III, la IV, la V, la VI parte)

La scuola di musica
Siamo negli anni ottanta, esattamente nel 1981.
A quel tempo le offerte di formazione musicale per bambini e giovani erano rare, andavano per la maggiore le lezioni private e le istituzioni musicali ufficiali erano rappresentate quasi esclusivamente dai Conservatori (scuole preposte alla preparazione di futuri musicisti).
Io non ho mai amato le lezioni private, specie se impartite ai bambini, le consideravo e le considero ancora, aride, finalizzate all’insegnamento di uno specifico, unico argomento: noiosi momenti di controllo settimanale sulla qualità dello studio, riducendo l’allievo a contenitore di regole, studi, esercizi.
Sempre di più mi ronzava in testa il desiderio di proporre un diverso modo di fare musica, dove al dovere dell’apprendimento si opponesse la gioia della scoperta, della conoscenza, dove l’allievo dovesse desiderare di "andare a musica", farsi ascoltare dal proprio maestro, verificare con lui i progressi raggiunti e soprattutto incontrare altri allievi con i quali suonare assieme, cantare assieme, subito, anche con le poche note appena imparate.
Ritenevo inoltre che la musica dovesse essere proposta non solo dai dieci anni in su, com'era in Conservatorio, ma fin dai primi anni.
Decisi allora di dar vita a una mia Scuola di Musica. Progetto ambizioso ma non presuntuoso. Sapevo ciò che avrei voluto fare, un po’ meno come avrei potuto farlo, quello che proprio non sapevo era dove; anche qui la Provvidenza ci mise lo zampino. Abitavo in viale Bolognini 28, una casa molto grande nella quale trascorsi più di trentacinque anni della mia vita: si sarebbe prestata per iniziare, anche perché non ci sarebbero stati problemi condominiali. Chiesi a Elena Bonini e Giuseppe Pedrini (il Beppe), con i quali abitavo, se fosse stato possibile ospitare nel pomeriggio un po...? di bambini per fare lezioni di musica. Accolsero la mia richiesta con generoso entusiasmo.
Voglio riservare uno spazio, anche se piccolo ma doveroso, a queste due persone: in pochissimo tempo (un paio di mesi) portai in casa una quarantina di bambini sistemati in tre stanze, così che dalle due alle sette, era un andirivieni di fanciulli e un intrecciarsi di canti e suoni; non hanno mai brontolato, si saranno anche beati dalle voci di questi bambini, ma lo scompiglio non era poco (quante volte Beppe è corso ad aprire la porta ad ogni squillo di campanello!)
La riconoscenza mia e dei Minipolifonici nei loro confronti è tanta e mai basterà.
Era nata la Scuola di musica dei Minipolifonici.
Iniziai subito con bambini di cinque, sei, sette, otto anni, età diverse e quindi con diversi programmi. La formazione musicale di base: “alfabetizzazione”, ebbe subito un ruolo, se non primario, quantomeno paritetico all’insegnamento dello strumento. “Perché?”, voi potreste chiedermi, “non ha lo stesso valore formativo?” Per me si, cari amici, ma, leggete questa curiosità: quando iniziai a insegnare “teoria, solfeggio e dettato musicale” al Liceo Pareggiato, prima, e al Conservatorio, dopo, la mia materia era considerata “complementare”, lo stipendio, inferiore rispetto a quello degli insegnanti di strumento, non ammetteva dubbi. L’insegnante di solfeggio, era come il personale “paramedico”, aveva il compito di preparare al meglio e prima possibile l’allievo all’"operazione” affidata poi al “chirurgo”. Tolsi questa cattiva abitudine.
Gli insegnanti erano ragazzi giovani, non ancora diplomati, alcuni cresciuti con me nelle voci bianche, altri allievi miei in Conservatorio ai quali feci improvvisare l’arte dell’insegnamento: Sonia Sartori, Annalia Nardelli, Francesco Serpetti, Marco Mazzeo, Emanuele Cavallini, Sonia Carli, Eleonora Dalbosco... Una ragazza del coro: la Beppa, faceva la segretaria. La risposta da parte dei genitori fu pronta e in breve tempo casa mia divenne insufficiente, per cui dovetti cercare una sede più spaziosa.
Uno fra i numerosi vantaggi che una scuola privata possiede è quello di potersi cucire addosso un proprio programma didattico, di poter sperimentare metodologie, introdurre discipline particolari, soprattutto prescindere dal modello del Conservatorio.
Col tempo elaborai, assieme a Eleonora (mia moglie), un metodo per la formazione musicale dei bambini dai tre ai tredici anni che divenne “La didattica dei Minipolifonici”.
Istituii lezioni collettive obbligatorie, prima fra tutte “Disciplina corale”.
Oggi, quando un genitore iscrive il proprio figlio a una scuola di musica, non trova strano che fra le materie currciulari, ci siano Lettura musicale e Disciplina corale.
Allora, non era così e farle accettare ai genitori, (anche a numerosi insegnanti), non è stato semplice.
Gli allievi continuavano ad aumentare, nel frattempo risolvemmo il problema della sede. Constatavo che, per lo strumento, la scelta cadeva soprattutto sul pianoforte e sulla chitarra, pochissimo o niente per gli altri. Non riuscivo a spiegarmi il perché di queste scelte univoche, e flauto? violino? violoncello? Dedussi che il motivo fosse da ricercare nell’assenza di una adeguata informazione. Ideai il “Giro degli strumenti”.
Con questa nuova proposta didattica (a quel tempo prima e unica in Italia), al bambino, nell’arco di un anno, viene data la possibilità di ricevere alternativamente, quattro lezioni al mese di uno degli strumenti presenti nella scuola; occasione importante per l’allievo stesso il quale ha l’opportunità di vedere, toccare, provare e provarsi a suonare diversi strumenti, poi, con l’aiuto dell’insegnante, operare una scelta più consapevole, che lo porterà ad accostarsi allo strumento a lui più idoneo. Soluzione che col tempo si rivelò geniale.
Assistetti infatti, a un graduale e radicale cambiamento, trovandomi con classi molto più equilibrate che mi permisero di inserire pure altri strumenti. 
Un piccolo ma doveroso spazio voglio dedicarlo anche a quelle persone, non insegnanti, che nella conduzione di una scuola rappresentano un importante cardine; mi riferisco alle segretarie. Nel percorso della Scuola si sono succedute cinque “vestali”, eccole: La cara Beppa, corista-segretaria, coraggiosa e appassionata pioniera dei nostri primi anni. Nadia: giovanissima, appena uscita dal corso, s’è messa a lavorare, con impegno ed entusiasmo. Orietta: gioviale, disponibile, duttile, capì presto il sistema e svolse il suo lavoro con grande professionalità. Daniela: bella voce del coro misto, precisa, puntuale, sicura; un posto, più adatto alla sua preparazione, la fece scappare... Barbara: mi dispiace  averla immeritatamente sottovalutata perché anche lei profuse nella Scuola grande entusiasmo e professionalità;  non dimenticherò mai, inoltre, che in un momento doloroso, devastante della mia vita nei Minipolifonici, fu l’unica in quel contesto e in quel “gruppo” ad essermi vicina, a manifestarmi la sua grande umanità e il suo rispettoso affetto. Grazie, Barbara.
Diressi questa mia Scuola per vent’anni, facendone una "Grande Scuola".
Un po’ alla volta racconterò di Essa, mi racconterò, racconterò dei meravigliosi momenti vissuti assieme agli allievi, dei concerti all’Auditorium dove al termine centinaia di bambini, ragazzi, giovani, il Coro misto e anche gli insegnanti, salivano sul palco per cantare tutti assieme “Dopo la pioggia viene il sereno...” Era un auspicio, un presagio?...

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